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6 dic 2018

Autovalutazione formativa



1. Introduzione

"Un soggetto che costruisce il suo apprendimento, e che lo voglia fare in una prospettiva di possibile auto-apprendimento lungo tutto l’arco della vita, non può fare a meno di questa forte componente metacognitiva, perché qui è in gioco proprio il suo saper apprendere, cioè l’imparare a imparare di cui tanto si parla.
Ma competenti nel saper apprendere non si nasce, solitamente lo si diventa: per questo vorrei proporre di considerare l’autovalutazione come una vera e propria competenza da costruire.


E proprio parlando di approcci per competenze, oggi l’autovalutazione assume un ruolo ancora più particolare e definito. E’ ormai ampiamente riconosciuto che le competenze non coincidono con le abilità e le conoscenze, che comunque devono essere padroneggiate, ma rappresentano sostanzialmente le modalità di impiego di quelle abilità e di quelle conoscenze in contesti nuovi (Domenici 1999). 
In altre parole, essere competenti significa, tra l’altro, saper trasferire quello che è stato appreso in situazione di formazione ad altri contesti, dentro e fuori della scuola:  richiede dunque di saper riconoscere la somiglianza e la diversità dei compiti e dei contesti per poter attivare il transfer delle conoscenze e delle abilità acquisite. "

Una parola composta come “auto-valutazione” ci ricorda in primo luogo che siamo nell’ambito, complesso e a volte sofferto, della valutazione, ma ci invita subito anche a considerare la varietà delle modalità possibili in questo ambito: dall’etero-valutazione “pura”, prerogativa esclusiva dell’insegnante o dell’esaminatore, alla co-valutazione, che introduce una dimensione di socializzazione di questa esperienza con altri (ad esempio, i compagni, ma anche l’insegnante stesso), fino all’auto-valutazione individuale. Si tratta naturalmente di modalità che non sono in linea di principio alternative o in competizione tra loro, e che potrebbero (dovrebbero) integrarsi. Come si dice in questi casi, “il condizionale è d’obbligo” in tempi in cui le certificazioni, spesso esterne alla scuola, tendono ad escludere o a sminuire il contributo della persona valutata dalla partecipazione al processo valutativo.

Al contrario, il prefisso auto- nel termine “auto-valutazione” rimanda al ruolo centrale che può e deve svolgere chi impara. In questa ottica occorre sgombrare subito il campo da un possibile equivoco: l’autovalutazione non implica necessariamente auto-referenzialità, cioè chiusura entro dei parametri di giudizio personali e avulsi dalla realtà. Certamente, e come vedremo tra poco, autovalutarsi comporta sempre una percezione di competenza, cioè un giudizio soggettivo, e proprio per questo una delle sfide più impegnative consiste nello sforzo di assicurare anche alle modalità di autovalutazione quei livelli di qualità, così difficili da assicurare, che dovrebbero essere comuni a tutte le operazioni valutative, e cioè validità, affidabilità, trasparenza e condivisione.

Questa difficoltà di mantenere anche per l’autovalutazione questi livelli di qualità genera, in parte almeno, la diffidenza e l’incertezza nei confronti delle pratiche autovalutative, e quindi la loro scarsa diffusione. Prevale, credo, un atteggiamento di dubbio: come possono gli studenti avere un quadro valido ed attendibile dei loro risultati, specialmente se sono molto giovani? Ma al di là, o se si vuole, al di sotto di questo dubbio, rimane una perplessità ancora più profonda: a cosa serve, tutto sommato, l’autovalutazione? Perché investire tempo ed energie in operazioni che non ci danno le sicurezze della valutazione “tradizionale” e delle certificazioni, che mettono nero su bianco dei risultati tangibili, e (almeno in apparenza) validi, affidabili, trasparenti e condivisi?

2. Perché autovalutarsi?

Autovalutarsi significa dunque compiere un’operazione squisitamente metacognitiva: significa operare un distanziamento dal proprio io, oggettivare la propria esperienza, il proprio vissuto, e guardarlo come altro da sé. Ora, in un approccio socio-costruttivista, o, in termini più generali, centrato sullo studente e sul suo apprendimento piuttosto che sulla disciplina e sul suo insegnamento, questa operazione metacognitiva non è opzionale o secondaria, ma costituisce una parte essenziale della costruzione delle conoscenze e delle competenze del soggetto. Anzi, volendo essere ancora più espliciti, l’autovalutazione  non è che una delle fasi o delle attività metacognitive all’interno di un approccio più globale. Un approccio metacognitivo implica infatti delle conoscenze e delle abilità lungo tutto il percorso dell’apprendimento: dalla pianificazione prima del compito al monitoraggio durante il compito alla vera e propria autovalutazione dopo il compito. E queste operazioni sono così strettamente correlate da poterle descrivere come un continuum: in particolare, autovalutarsi non significa soltanto darsi un giudizio al termine di un’attività o di un corso di studi; si tratta al contrario di un’operazione implicata sin dalla pianificazione, cioè dalla scelta degli obiettivi, delle metodologie, dei materiali e delle attività prima del compito; e continua nel monitoraggio, cioè nella valutazione che il discente compie di come sta procedendo durante il compito e degli aggiustamenti che si rendono man mano necessari; e prosegue ancora dopo il compito, quando occorre decidere come procedere e come programmare i passi successivi, sia in termini di recupero che in termini di sviluppo

Insomma, un soggetto che costruisce il suo apprendimento, e che lo voglia fare in una prospettiva di possibile auto-apprendimento lungo tutto l’arco della vita, non può fare a meno di questa forte componente metacognitiva, perché qui è in gioco proprio il suo saper apprendere, cioè l’imparare a imparare di cui tanto si parla. Ma competenti nel saper apprendere non si nasce, solitamente lo si diventa: per questo vorrei proporre di considerare l’autovalutazione come una vera e propria competenza da costruire.


E proprio parlando di approcci per competenze, oggi l’autovalutazione assume un ruolo ancora più particolare e definito. E’ ormai ampiamente riconosciuto che le competenze non coincidono con le abilità e le conoscenze, che comunque devono essere padroneggiate, ma rappresentano sostanzialmente le modalità di impiego di quelle abilità e di quelle conoscenze in contesti nuovi (Domenici 1999). 
In altre parole, essere competenti significa, tra l’altro, saper trasferire quello che è stato appreso in situazione di formazione ad altri contesti, dentro e fuori della scuola:  richiede dunque di saper riconoscere la somiglianza e la diversità dei compiti e dei contesti per poter attivare il transfer delle conoscenze e delle abilità acquisite. 
Ora,  “Si vorrebbe che il trasferimento avvenisse sempre. L’esperienza didattica, corroborata dagli esperimenti psicologici, rivela invece che tale trasferimento non avviene in tutti i casi“ (Rey 2003, citato in Maccario s.d.). Cioè, questo transfer per analogia non è sempre automatico e scontato: però può giovarsi di un’esplicitazione e riflessione su quanto già fatto e su come è stato fatto.


3. Che cosa far autovalutare?

Un’esperienza comune di autovalutazione è legata all’utilizzo di una griglia di descrittori del tipo “sono/non sono in grado di …” 

Questa (auto)valutazione ha carattere formativo, in quanto fornisce, oltre che i risultati di una prestazione, tutta una serie di elementi informativi, un feedback, che costituiscono la base per la prosecuzione della formazione, cioè per l’ulteriore sviluppo della competenza. Si noti che la valutazione formativa non si limita in realtà ai fattori di processo ma coinvolge anche i prodotti – proprio perché, in effetti, le differenze individuali condizionano i risultati in quanto la persona esprime tutta se stessa non in un vuoto asettico di contenuti ma sempre eseguendo un compito, mettendo in azione delle conoscenze, disciplinari e trasversali, e arrivando a fornire un prodotto in un determinato contesto.

Alla luce di esigenze così complesse e delicate postulate da questa visione dell’autovalutazione formativa, ho proposto di considerare l’autovalutazione come competenza da costruire: quindi una capacità che non si può dare per scontata, non è certamente semplice, non si sviluppa in modo automatico. Come ogni competenza, è in gioco l’interazione di saperi (conoscenze), saper fare (abilità) e saper essere (convinzioni e atteggiamenti), il tutto attivato in un contesto (che spesso è la classe). Come ogni competenza, va costruita gradualmente, possibilmente cercando di capire gli stadi attraverso cui passa il suo sviluppo e come ogni fase comporti un coinvolgimento cognitivo e socio-affettivo della persona.


4. Come costruire una competenza di autovalutazione?

Per illustrare quanto graduale possa essere lo sviluppo di questa competenza, possiamo partire proprio dagli stadi cognitivamente più semplici ma non per questo meno importanti – con l’implicazione chiara che un lavoro di autovalutazione può (verrebbe da dire “deve”) cominciare il prima possibile. Possiamo scandire il progressivo sviluppo di questa competenza descrivendo differenti stadi ed illustrandoli con esempi concreti: sapersi autovalutare implica dunque

·  saper riconoscere le singole esperienze fatte nel corso di un segmento di apprendimento formale o temporale (ad esempio, un'unità di apprendimento o un modulo, ma anche una mattina o una settimana) e richiamarne la sequenzaChe cosa abbiamo fatto questa mattina? Abbiamo … ascoltato una fiaba … cantato una canzone … giocato a bingo. Ciò significa rendersi conto di aver fatto “cose” diverse, e isolare queste “cose” dal flusso continuo dell'esperienza; significa anche cominciare a sviluppare il concetto di compito di apprendimento (Fig. 3, da Mariani et al. 2004);
·  saper apprezzare in questo ricordo la propria reazione globale, cognitiva e affettiva (ad esempio, mi è piaciuto/non mi è piaciuto/mi ha lasciato indifferente) 

·  saper gradualmente estrarre un significato dall'esperienza (che cosa vuol dire per me? Mi ha dato qualcosa? Mi ha cambiato?), e saper articolare questo "nuovo" in termini di
o     quello che so di più o di diverso rispetto a prima: le nuove conoscenze (ad esempio, nuovi  vocaboli)
o     quello che so fare o so fare meglio con queste conoscenze rispetto a prima (ad esempio, nuove abilità linguistiche);
ciò significa anche cominciare a porsi degli obiettivi da perseguire attraverso dei compiti, cioè delle prestazioni (Fig. 4, ibidem);
·  saper ripetere queste riflessioni su più compiti, confrontando le prestazioni nel tempo per poterne misurare il progresso, il che implica poter avere più opportunità, cioè poter fare lo stesso lavoro su più prestazioni simili ma distanziate nel tempo. Nella griglia di Fig. 5 (ibidem), ad esempio, l'alunno annerisce un cerchietto ogni volta che vuole esprimere un miglioramento rispetto al compito precedente, fino ad arrivare ad annerire il "cuore" quando riconosce la padronanza;

Occorre prestare molta attenzione perché questo è un punto cruciale. Quando chiediamo ad un bambino (ma anche ad un adulto) di compilare una scheda come questa, è chiaro che viene richiesta una propria personale percezione di competenza. Che cosa dobbiamo fare per annerire uno, due o quattro cerchietti senza scegliere “a caso” o con superficialità? Probabilmente ritorniamo con la mente alle esperienze che abbiamo fatto di questo tipo - se abbiamo fatto sufficienti esperienze concrete, se ce le ricordiamo, se ricordiamo i risultati che abbiamo avuto e le soddisfazioni o insoddisfazioni che abbiamo provato, allora possiamo arrischiarci a dare una risposta. 
Questo significa che in realtà quello su cui ci basiamo per autovalutarci è una serie di concrete prestazioni passate e da queste deduciamo, cioè decidiamo per inferenza, in che misura possediamo quella competenza. La competenza insomma, come sappiamo, è invisibile, può solo essere inferita, generalizzando, dalle prestazioni. Allora è ovvio che quante più saranno le prestazioni, tanto più sarà valida ed attendibile l'operazione di deduzione con cui decidiamo che esiste la competenza.

Dunque l'incontro dell'alunno con il descrittore di competenza deve essere preparato, così che abbia modo di familiarizzarsi sia con il contenuto che con la forma del descrittore stesso. Questa familiarizzazione graduale deve partire dal quotidiano, dai singoli compiti svolti in classe, cioè, in altri termini, dalle singole prestazioni, dall'abituarsi, subito dopo un compito, a porsi domande come: che cosa dovevo fare? L'ho effettivamente  fatto? Sono soddisfatto di come ho svolto il compito? Che cosa non riesco ancora a fare?

Si capisce allora l’importanza di collegare strettamente giudizio e prestazione, facendo quasi “toccare con mano” allo studente se la sua percezione di competenza può reggere un test di realtà, come nella proposta (Fig. 6) di tanti anni fa di René Richterich (1981)(in uno dei pochi, più avanzati e coerenti corsi che si proponevano esplicitamente l’autonomia di chi impara come obiettivo primario dell’apprendimento di una lingua).

Sin qui si è parlato di reazioni globali, di percezioni di competenza anche molto soggettive. Autovalutarsi in modo più analitico e meno soggettivo implica qualcosa di più e di diverso: occorre sapersi rapportare all'esterno secondo criteri trasparenti e condivisi. Questo è ovviamente un altro punto cruciale, perché si tratta di limitare la propria soggettività di giudizio, il che implica in primo luogo saper riferire le proprie personali esperienze di apprendimento ad una serie di obiettivi da perseguire e standard di qualità, che vengono dichiarati esplicitamente e condivisi in classe.

 
Fig. 7

L’esempio della rubrica (Fig. 7, da Mariani 2006) è forse il più illuminante. In questa sede non è possibile esaminare a fondo come si arriva a produrre[2] o addirittura a far produrre una rubrica dagli studenti stessi[3], ma ricordiamo almeno i passi fondamentali:
·  analizzare degli esempi di compiti ben riusciti per estrarne le qualità e le caratteristiche (possono essere anche gli stessi compiti prodotti dagli studenti);
·  formulare i criteri (indicatori) e le scale di qualità o descrittori;
·  eseguire un compito e rilevare gli indici da confrontare con i criteri sulla scala di qualità;
·  riflettere criticamente sui risultati, usando la scala anche per pianificare i miglioramenti ancora necessari.

Per finire, sapersi rapportare all'esterno implica anche saper confrontare il proprio giudizio con giudizi esterni (ad esempio, di compagni e insegnanti), apprezzandone l'eventuale scarto; e saper negoziare (con se stessi e con l'esterno) un eventuale nuovo giudizio. E’ qui che l’autovalutazione, intesa come competenza dell’individuo, si salda con quelle che all’inizio abbiamo chiamato etero-valutazione e co-valutazione (Fig. 8, da Mariani et al. 2004, e Fig. 9, adattata da O’Malley, Valdez Pierce 1996).


l rischio della dispersione, sempre insito nell’utilizzo di materiali e attività come quelle appena esemplificate (dai questionari compilati all’inizio dell’anno che finiscono in un cassetto ai momenti di riflessione e discussione risucchiati dal vortice delle attività quotidiane …) esige la messa in atto di una documentazione pedagogica da parte di studenti e insegnanti: la parola “portfolio” viene subito in mente per fare riferimento ad uno strumento (spesso “bruciato” prima ancora di averne intravisto le potenzialità) che intende(va) rispondere proprio a questa esigenza[5]. Ma anche strumenti di documentazione modesti, discreti ma efficaci, se usati in modo il più possibile sistematico, possono contribuire ad aiutare lo studente a costruire gradualmente nel tempo il proprio profilo personale (Fig. 14).

L'autovalutazione deve poter costituire un'esperienza "ecologica" per l' alunno, cioè un momento formativo vissuto con positività in relazione a tutto il proprio "ambiente" personale, di vita e di apprendimento. Proviamo dunque a scandire come occorre porsi come persona, come bisogna imparare a saper essere, per potersi autovalutare in modo "ecologico". 
Occorre:

·  saper accettare il giudizio sulla propria prestazione e il suo significato (non necessariamente positivo);
·  saper tollerare la valenza giudicante di questa operazione senza mettere in crisi la propria identità, il proprio concetto di sé, la propria autostima, il proprio senso di auto-efficacia - il che a sua volta implica
o     saper separare il giudizio sulla prestazione dal giudizio sulla propria persona ("io non sono il compito che ho svolto, il mio essere globale non si identifica con quello che faccio, e tanto più con quello che faccio in una o più occasioni specifiche");
o     saper relativizzare una prestazione isolandola da altre dello stesso o di altro tipo ("non sono stato bravo questa volta, ma lo sono stato in passato e lo posso essere in futuro");
·  sapere, in modo simile, accettare il giudizio sulla propria competenza, adottandone una concezione dinamica, cioè relativizzandola
o     nel tempo ("non sono ancora competente, ma posso esserlo o esserlo meglio in futuro")
o     rispetto allo stesso ambito ("non so leggere poesie, so leggere meglio romanzi") o ad ambiti diversi ("non sono tanto bravo nel parlare ma lo sono di più nello scrivere"); 
o     e, in generale, rispetto alla propria persona. Si dovrebbe (tutti) poter dire: io non sono una competenza, ma un insieme di competenze in divenire, quindi anche di capacità in potenza. In sintesi ciò equivale a saper gestire la propria percezione di competenza in modo positivo e realistico al contempo.

Diverse importanti conseguenze per lo sviluppo di materiali e attività discendono da quanto abbiamo appena detto. A titolo di esempio:
·  i descrittori dovrebbero essere formulati "in positivo", evitando formulazioni centrate prevalentemente sulle lacune e sugli errori;
·  i giudizi relativi alla prestazione presente dovrebbero essere percepiti come provvisori, cioè visti in una prospettiva di sviluppo e di possibile cambiamento: una formulazione drastica del tipo "non lo so fare" potrebbe essere modificata in "non lo so ancora fare - è un obiettivo per me";
·  una valutazione negativa o comunque problematica può vantaggiosamente essere subito correlata con una possibilità di recupero o miglioramento che implichi l'utilizzo di una concreta strategia: la valutazione "non sono ancora in grado di fare un riassunto" potrebbe essere integrata da "per cui la prossima volta proverò a ... (individuare porzioni di testo, distinguere le affermazioni generali dagli esempi, fare una scaletta di parole-chiave ... )".

Più in generale, credo opportuno sottolineare ancora una volta quanto sia assolutamente fondamentale che procedure di autovalutazione
·  vengano introdotte gradualmente, su compiti e contesti semplici, lineari, non invasivi ma rassicuranti, e che valorizzino le positività dell'individuo, le sue "intelligenze" personali, le sue attitudini;
·  si realizzino in un clima di classe non giudicante, cooperativo più che competitivo, basato sulla fiducia reciproca tra alunni e tra alunni e insegnanti;
·  siano progettate in modo che la sfida, potenzialmente pericolosa e minacciosa, del giudicarsi, sia controbilanciata da un opportuno sostegno del contesto di classe;
·  siano parte di un sistema valutativo che privilegi la natura formativa della valutazione e che sia esplicitato e condiviso a livello di classe e di scuola.

Tratto da 

IL RUOLO DELL’AUTOVALUTAZIONE COME COMPETENZA DA COSTRUIRE

https://www.learningpaths.org/Articoli/autovalutazioneroma.htm